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31 maggio 2013

cinquantamila lacrime......








Cinquantamila lacrime non basteranno perchè
musica triste sei tu dentro di me.
Cinquantamila pagine gettate al vento perchè
eterno è il ricordo, il mio volto per te.
Non ritornare, no tu non ti voltare, non vorrei mi vedessi cadere.

A me piace così, che se sbaglio è lo stesso, perchè questo dolore è amore per te.
Cinquantamila lacrime senza sapere perchè
sono un ricordo lontano da te.

Cinquantamila lacrime non basteranno perchè
musica triste sei tu dentro di me.
Non mi guardare, non lo senti il dolore, brucia come un taglio nel sale.

A me piace così, che se sbaglio è lo stesso, perchè questo dolore è amore per te.
A me piace così, e non chiedo il permesso, perchè questo dolore è amore per te

Nina Zilli

29 maggio 2013

Stupro - Franca Rame


 Ciao Franca........


C’è una radio che suona… ma solo dopo un po’ la sento. Solo dopo un po’ mi rendo conto che c’è qualcuno che canta. Sì, è una radio. Musica leggera: cielo stelle cuore amore… amore…
Ho un ginocchio, uno solo, piantato nella schiena… come se chi mi sta dietro tenesse l’altro appoggiato per terra… con le mani tiene le mie, forte, girandomele all’incontrario. La sinistra in particolare.
Non so perché, mi ritrovo a pensare che forse è mancino. Non sto capendo niente di quello che mi sta capitando.
Ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce… la parola. Prendo coscienza delle cose, con incredibile lentezza… Dio che confusione! Come sono salìta su questo camioncino? Ho alzato le gambe io, una dopo l’altra dietro la loro spinta o mi hanno caricata loro, sollevandomi di peso?
Non lo so.
È il cuore, che mi sbatte così forte contro le costole, ad impedirmi di ragionare… è il male alla mano sinistra, che sta diventando davvero insopportabile. Perché me la storcono tanto? Io non tento nessun movimento. Sono come congelata.
Ora, quello che mi sta dietro non tiene più il suo ginocchio contro la mia schiena… s’è seduto comodo… e mi tiene tra le sue gambe… fortemente… dal di dietro… come si faceva anni fa, quando si toglievano le tonsille ai bambini.
L’immagine che mi viene in mente è quella. Perché mi stringono tanto? Io non mi muovo, non urlo, sono senza voce. Non capisco cosa mi stia capitando. La radio canta, neanche tanto forte. Perché la musica? Perché l’abbassano? Forse è perché non grido.
Oltre a quello che mi tiene, ce ne sono altri tre. Li guardo: non c’è molta luce… Né gran spazio… Forse è per questo che mi tengono semidistesa. Li sento calmi. Sicurissimi. Che fanno? Si stanno accendendo una sigaretta.
Fumano? Adesso? Perché mi tengono così e fumano?
Sta per succedere qualche cosa, lo sento… Respiro a fondo… due, tre volte. Non, non mi snebbio… Ho solo paura…
Ora uno mi si avvicina, un altro si accuccia alla mia destra, l’altro a sinistra. Vedo il rosso delle sigarette. Stanno aspirando profondamente.
Sono vicinissimi.
Sì, sta per succedere qualche cosa… lo sento.
Quello che mi tiene da dietro, tende tutti i muscoli… li sento intorno al mio corpo. Non ha aumentato la stretta, ha solo teso i muscoli, come ad essere pronto a tenermi più ferma. Il primo che si era mosso, mi si mette tra le gambe… in ginocchio… divaricandomele. È un movimento preciso, che pare concordato con quello che mi tiene da dietro, perché subito i suoi piedi si mettono sopra ai miei a bloccarmi.
Io ho su i pantaloni. Perché mi aprono le gambe con su i pantaloni? Mi sento peggio che se fossi nuda!
Da questa sensazione mi distrae un qualche cosa che subito non individuo… un calore, prima tenue e poi più forte, fino a diventare insopportabile, sul seno sinistro.
Una punta di bruciore. Le sigarette… sopra al golf fino ad arrivare alla pelle.
Mi scopro a pensare cosa dovrebbe fare una persona in queste condizioni. Io non riesco a fare niente, né a parlare né a piangere… Mi sento come proiettata fuori, affacciata a una finestra, costretta a guardare qualche cosa di orribile.
Quello accucciato alla mia destra accende le sigarette, fa due tiri e poi le passa a quello che mi sta tra le gambe. Si consumano presto.
Il puzzo della lana bruciata deve disturbare i quattro: con una lametta mi tagliano il golf, davanti, per il lungo… mi tagliano anche il reggiseno… mi tagliano anche la pelle in superficie. Nella perizia medica misureranno ventun centimetri. Quello che mi sta tra le gambe, in ginocchio, mi prende i seni a piene mani, le sento gelide sopra le bruciature…
Ora… mi aprono la cerniera dei pantaloni e tutti si dànno da fare per spogliarmi: una scarpa sola, una gamba sola.
Quello che mi tiene da dietro si sta eccitando, sento che si struscia contro la mia schiena.
Ora quello che mi sta tra le gambe mi entra dentro. Mi viene da vomitare.
Devo stare calma, calma.
“Muoviti, puttana. Fammi godere”. Io mi concentro sulle parole delle canzoni; il cuore mi si sta spaccando, non voglio uscire dalla confusione che ho. Non voglio capire. Non capisco nessuna parola… non conosco nessuna lingua. Altra sigaretta.
“Muoviti puttana fammi godere”.
Sono di pietra.
Ora è il turno del secondo… i suoi colpi sono ancora più decisi. Sento un gran male.
“Muoviti puttana fammi godere”.
La lametta che è servita per tagliarmi il golf mi passa più volte sulla faccia. Non sento se mi taglia o no.
“Muoviti, puttana. Fammi godere”.
Il sangue mi cola dalle guance alle orecchie.
È il turno del terzo. È orribile sentirti godere dentro, delle bestie schifose.
“Sto morendo, – riesco a dire, – sono ammalata di cuore”.
Ci credono, non ci credono, si litigano.
“Facciamola scendere. No… sì…” Vola un ceffone tra di loro. Mi schiacciano una sigaretta sul collo, qui, tanto da spegnerla. Ecco, lì, credo di essere finalmente svenuta.
Poi sento che mi muovono. Quello che mi teneva da dietro mi riveste con movimenti precisi. Mi riveste lui, io servo a poco. Si lamenta come un bambino perché è l’unico che non abbia fatto l’amore… pardon… l’unico, che non si sia aperto i pantaloni, ma sento la sua fretta, la sua paura. Non sa come metterla col golf tagliato, mi infila i due lembi nei pantaloni. Il camioncino si ferma per il tempo di farmi scendere… e se ne va.
Tengo con la mano destra la giacca chiusa sui seni scoperti. È quasi scuro. Dove sono? Al parco. Mi sento male… nel senso che mi sento svenire… non solo per il dolore fisico in tutto il corpo, ma per lo schifo… per l’umiliazione… per le mille sputate che ho ricevuto nel cervello… per lo sperma che mi sento uscire. Appoggio la testa a un albero… mi fanno male anche i capelli… me li tiravano per tenermi ferma la testa. Mi passo la mano sulla faccia… è sporca di sangue. Alzo il collo della giacca.
Cammino… cammino non so per quanto tempo. Senza accorgermi, mi trovo davanti alla Questura.
Appoggiata al muro del palazzo di fronte, la sto a guardare per un bel pezzo. Penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora… Sento le loro domande. Vedo le loro facce… i loro mezzi sorrisi… Penso e ci ripenso… Poi mi decido…
Torno a casa… Torno a casa… Li denuncerò domani“.

Una storia sufi.....


Un giorno l'asino di un contadino cadde in un pozzo.
Non si era fatto male, ma non poteva più uscirne.

L'asino continuò a ragliare sonoramente per ore,
mentre il proprietario pensava al da farsi.

Finalmente il contadino prese una decisione crudele:
concluse che l'asino era ormai molto vecchio e che non serviva più a nulla,
che il pozzo era ormai secco e che in qualche modo bisognava chiuderlo.

Non valeva pertanto la pena di sforzarsi per tirare fuori l'animale dal pozzo.
Al contrario chiamò i suoi vicini perché lo aiutassero a seppellire vivo l'asino.

Ognuno di loro prese un badile e cominciò a buttare palate di terra dentro al pozzo.
L'asino non tardò a rendersi conto di quello che stavano facendo con lui e pianse disperatamente.

Poi, con gran sorpresa di tutti, dopo un certo numero di palate di terra, l'asino rimase quieto.
Il contadino alla fine guardò verso il fondo del pozzo e rimase sorpreso da quello che vide.

Ad ogni palata di terra che gli cadeva addosso, l'asino se ne liberava,
scrollandosela dalla groppa, facendola cadere e salendoci sopra.

In questo modo, in poco tempo, tutti videro come l'asino riuscì ad arrivare fino all'imboccatura del pozzo,
oltrepassare il bordo e uscirne trottando.

La vita andrà a buttarti addosso molta terra, ogni tipo di terra.
Principalmente se sarai dentro un pozzo.

Il segreto per uscire dal pozzo consiste semplicemente nello scuotersi
di dosso la terra che si riceve e nel salirci sopra.
Storia sufi




28 maggio 2013

Don Chisciotte....

 [ Don Chisciotte ]
Ho letto millanta storie di cavalieri erranti,
di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti
per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza
come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza.
Nel mondo oggi più di ieri domina l'ingiustizia,
ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia;
proprio per questo, Sancho, c'è bisogno soprattutto
d'uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto:
vammi a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso
l'ho promesso alla mia bella, Dulcinea del Toboso,
e a te Sancho io prometto che guadagnerai un castello,
ma un rifiuto non l'accetto, forza sellami il cavallo !
Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante
e con questo cuore puro, col mio scudo e Ronzinante,
colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte,
com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte...

[ Sancho Panza ]

Questo folle non sta bene, ha bisogno di un dottore,
contraddirlo non conviene, non è mai di buon umore...
E' la più triste figura che sia apparsa sulla Terra,
cavalier senza paura di una solitaria guerra
cominciata per amore di una donna conosciuta
dentro a una locanda a ore dove fa la prostituta,
ma credendo di aver visto una vera principessa,
lui ha voluto ad ogni costo farle quella sua promessa.
E così da giorni abbiamo solo calci nel sedere,
non sappiamo dove siamo, senza pane e senza bere
e questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini
proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini...
E' un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello:
io che sono più realista mi accontento di un castello.
Mi farà Governatore e avrò terre in abbondanza,
quant'è vero che anch'io ho un cuore e che mi chiamo Sancho Panza...

[ Don Chisciotte ]

Salta in piedi, Sancho, è tardi, non vorrai dormire ancora,
solo i cinici e i codardi non si svegliano all'aurora:
per i primi è indifferenza e disprezzo dei valori
e per gli altri è riluttanza nei confronti dei doveri !
L'ingiustizia non è il solo male che divora il mondo,
anche l'anima dell'uomo ha toccato spesso il fondo,
ma dobbiamo fare presto perché più che il tempo passa
il nemico si fà d'ombra e s'ingarbuglia la matassa...

[ Sancho Panza ]

A proposito di questo farsi d'ombra delle cose,
l'altro giorno quando ha visto quelle pecore indifese
le ha attaccate come fossero un esercito di Mori,
ma che alla fine ci mordessero oltre i cani anche i pastori
era chiaro come il giorno, non è vero, mio Signore ?
Io sarò un codardo e dormo, ma non sono un traditore,
credo solo in quel che vedo e la realtà per me rimane
il solo metro che possiedo, com'è vero... che ora ho fame !

[ Don Chisciotte ]

Sancho ascoltami, ti prego, sono stato anch'io un realista,
ma ormai oggi me ne frego e, anche se ho una buona vista,
l'apparenza delle cose come vedi non m'inganna,
preferisco le sorprese di quest'anima tiranna
che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti,
ma ti apre nuovi occhi e ti accende i sentimenti.
Prima d'oggi mi annoiavo e volevo anche morire,
ma ora sono un uomo nuovo che non teme di soffrire...

[ Sancho Panza ]

Mio Signore, io purtoppo sono un povero ignorante
e del suo discorso astratto ci ho capito poco o niente,
ma anche ammesso che il coraggio mi cancelli la pigrizia,
riusciremo noi da soli a riportare la giustizia ?
In un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre,
dove regna il "capitale", oggi più spietatamente,
riuscirà con questo brocco e questo inutile scudiero
al "potere" dare scacco e salvare il mondo intero ?

[ Don Chisciotte ]

Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
perchè il "male" ed il "potere" hanno un aspetto così tetro ?
Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità,
farmi umile e accettare che sia questa la realtà ?

[ Insieme ]

Il "potere" è l'immondizia della storia degli umani
e, anche se siamo soltanto due romantici rottami,
sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte:
siamo i "Grandi della Mancha",
Sancho Panza... e Don Chisciotte !
Guccini

27 maggio 2013

ORA!


Dicono che è vero che quando si muore poi non ci si vede più
dicono che è vero che ogni grande amore naufraga la sera davanti alla tv
dicono che è vero che ad ogni speranza corrisponde stessa quantità di delusione
dicono che è vero sì ma anche fosse vero non sarebbe giustificazione
per non farlo più, per non farlo più
ora

dicono che è vero che quando si nasce sta già tutto scritto dentro ad uno schema
dicono che è vero che c'è solo un modo per risolvere un problema
dicono che è vero che ad ogni entusiasmo corrisponde stessa quantità di frustrazione
dicono che è vero sì ma anche fosse vero non sarebbe giustificazione
per non farlo più, per non farlo più
ora

non c'è montagna più alta di quella che non scalerò
non c'è scommessa più persa di quella che non giocherò
ora

dicono che è vero che ogni sognatore diventerà cinico invecchiando
dicono che è vero che noi siamo fermi è il panorama che si sta muovendo
dicono che è vero che per ogni slancio tornerà una mortificazione
dicono che è vero sì ma anche fosse vero non sarebbe giustificazione
per non farlo più, per non falro più, ora

non c'è montagna più alta di quella che non scalerò
non c'è scommessa più persa di quella che non giocherò
ora
ora
ora...






























Jovanotti

26 maggio 2013

Ma l'anima?

  
.....E mi venne in mente un polpo reso tenero dai colpi, o il metallo forgiato dal fuoco sull'incudine. Forse anche noi veniamo ammorbiditi, ma al tempo stesso rafforzati alla stessa maniera? E cosa rivelano a noi stessi come individui, le prove a cui siamo sottoposti?

Carl Jung ha osservato acutamente che "la vita di ciascuno è una sua esclusiva". I nostri dilemmi, le nostre difficoltà e il nostro modo di farvi fronte definiscono chi siamo, perchè esistiamo e cosa cerchiamo di realizzare in questa vita terrena.

Tropo spesso, la personalità giudica il valore delle persone in base allo status, alla sicurezza e a segni esteriori di successo materiale, ma l'anima fornisce indicazioni sulla tempra individuale assegnando compiti e lanciando sfide.

Si crede erroneamente che i veri fini siano il benessere, la tranquillità, la sicurezza, ma l'anima ha valori completamente diversi. Non si cura affatto delle sofferenze personali, ma solo dell'affinamento, del rafforzamento e della purificazione della personalità necessari farne un veicolo degno dei fini dell'anima stessa. Il benessere, la tranquillità, lo status e la sicurezza non purificano, non rafforzano e non affinano.

Venire temprati dal fuoco sì.

R. Norwood

24 maggio 2013

Le piume degli angeli...


Io conto le piume delle ali degli angeli.
Parto dalle più piccole alle più grandi.
Un mio collega conta le piume partendo dalle più grandi alle più piccole.
Un altro conta le piume dall'interno all'esterno.
Un altro ancora le conta dall'esterno all'interno.
Un altro conta quelle piccole.
Un altro quelle grandi.
Se non quadriamo, ricominicamo.
Ma tutto con urgenza perché bisogna dare I DATI.
Quello che riceve i dati li passa ad un altro che li gira ad un altro
che li allega ad una relazione più ampia sul creato.
Il tutto va subito in archivio.
Su un angelo che lavora, 1000 stanno a contargli le piume.
Di questi 1000, 250 guadagnano 4 volte quello che guadagna lui.
E tutti si aspettano miracoli dal capo del paradiso.
Mentre il paradiso sta diventando un inferno.
Un inutile e paradossale inferno.
Allan Slowal

20 maggio 2013

Hella...e l'attesa




 Hella passeggiava lentamente, percorrendo il viale alberato che l’avrebbe condotta da lui. Aveva smesso di piovere da poco, e il terreno ancora umido di pioggia rilasciava un profumo di terra e di gerani appena sbocciati. La primavera tardava ad arrivare a Parigi, come sempre del resto. Ad Hella mancava la sua terra, intensa e forte come il suo sole e di questi tempi il sentore dei primi mandarini e bergamotti, avrebbe invaso l’aria di allegria e leggerezza. Hella chiuse gli occhi e si smarrì per un istante, inspirò profondamente e divenne ogni cosa , acqua e terra, sole e luna, muschio ed ambra e conobbe uno scorrere del tempo diverso da quello degli uomini. Il tempo dell’oblio e del ricordo, passato e presente finalmente uniti, uno spazio che conserva e restituisce memoria. Un momento di grazia cristallina, donna, uomo, madre e figlia ed Hella mise il piede su un terreno a lei familiare, quello della nostalgia. Continuando a camminare, alzò la testa, come quando era piccola, quando guardava il cielo dalla terrazza di casa sua, di giorno animata da lenzuola bianche di bucato, profumate di pulito, danzanti e leggere come ballerine e di notte, la stessa terrazza, completamente vuota, diventava ritrovo ideale per i pensieri e, complice il buio, immaginava amori e una nuova vita. Unica presenza il gatto Edmond, chissà si chiedeva Hella, se Edmond ha i suoi stessi pensieri; era arrivato per caso, un giorno di maggio, quando i cespugli di cisto, per il calore del sole, essudano la loro resinosa essenza, nessuno lo aveva cercato, con gli occhi così grandi da essere sproporzionati, sul quel terrazzo si era fermato e mai più allontanato. Finalmente Hella arrivò nella casa che tanto aveva desiderato, salì di corsa le scale, affannata, come ogni volta che dovevano incontrarsi. Entrò cercandolo con lo sguardo, con tutti i sensi all’erta, come il gatto Edmond quando puntava la preda, una farfalla, un piccolo insetto, tesa ed ansante, non lo trovò, si buttò nel letto ed affondò il viso nel cuscino, inspirò profondamente. Era lì annidato tra le fibre del cotone, il suo odore, al di fuori di quell’odore di spezie e di vita, null’altro poteva esistere. Sapeva che sarebbe tornato e l’attesa di quell’uomo la faceva sentire così piccola ed impotente che solo odorando ogni sua cosa, poteva portare via la paura di perderlo. Affondò nuovamente la faccia nel cuscino, erano passate due settimane dall’ultima volta che si erano visti, l’odore era quasi svanito, la luce rimbalzava sulle pareti della stanza, alla fine quando il suo corpo ormai freddo ed abbandonato giaceva sul letto, lui entrò, l’aria in casa cambiò diventò liquida, vitale, e finalmente si sorrisero….

16 maggio 2013

danzare nella pioggia





Il vero amore non è né fisico né romantico.
Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà.
Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.
La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia!
Kahlil Gibran

Fumo negli occhi



Ieri sera in un locale di Milano ho assistito ad uno spettacolo teatrale dal titolo “Fumo negli occhi”, interpretazione essenziale e coraggiosa, così vera ed autentica nei contenuti da attraversare la platea come lama di coltello.
Riporto per esteso uno dei testi “Uomo di Potere” interpretato da Roberto Sau e Diego Palladino integralmente tratto dall’intervista a Cossiga del 2008.

INTERVISTA A COSSIGA di Andrea Cangini del 23.10.2008
                                       IL GIORNO – Il Resto del Carlino – LA NAZIONE

PRESIDENTE Cossiga, pensa che minacciando l’uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato?
Dipende, se ritiene d’essere il Presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo. Ma poiché l’Italia è uno stato debole, e all’opposizione non c’è il granitico PC ma l’evanescente PD, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà una figuraccia.
Quali fatti dovrebbero seguire?
Maroni dovrebbe fare quel che feci io quando ero Ministro dell’Interno.
Ossia?
In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito……
Gli Universitari invece?
Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città.
Dopo di chè?
Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri
Nel senso che?
Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano.
Anche i docenti?
Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!
E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? In Italia torna il fascismo, direbbero.
Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l’incendio.
Quale incendio?
Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà a insaguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle università. E che gli slogano che usavano li avevano usati prima di loro il Movimento studentesco e la sinistra sindacale.
E’ dunque possibile che la storia si ripeta?
Non è possibile, è probabile. Per questo dico: non dimentichiamo le BR, nacquero perché il fuoco non fu spento per tempo
Il PD di Veltroni è dalla parte dei manifestanti.
Mah, guardi francamente io Veltroni che va in piazza col rischio di prendersi le botte non ce lo vedo. Lo vedo meglio in un club esclusivo di Chicago ad applaudire Obama.
Non andrà in piazza con un bastone, certo ma politicamente…
Politicamente si sta facendo lo stesso errore che fece il PCI all’inizio della contestazione: fece da sponda al  movimento illudendosi di controllarlo, ma quando, com’era logico, nel mirino finirono anche loro, cambiarono radicalmente registro. La cosiddetta linea della fermezza applicata da Andreotti, da Zaccagnini e da me, era stato Berlinguer a volerla….Ma oggi c’è il PD un ectoplasma guidato da un ectoplasma. Ed anche per questo che Berlusconi farebbe bene ad essere più prudente.


 



15 maggio 2013

La libertà....


Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo, e cominciarono a gridare in piazza: - Viva la libertà! -
Come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava davanti al casino dei galantuomini, davanti al Municipio, sugli scalini della chiesa: un mare di berrette bianche; le scuri e le falci che luccicavano. Poi irruppe in una stradicciuola.
- A te prima, barone! che hai fatto nerbare la gente dai tuoi campieri! - Innanzi a tutti gli altri una strega, coi vecchi capelli irti sul capo, armata soltanto delle unghie. - A te, prete del diavolo! che ci hai succhiato l'anima! - A te, ricco epulone, che non puoi scappare nemmeno, tanto sei grasso del sangue del povero! - A te, sbirro! che hai fatto la giustizia solo per chi non aveva niente! - A te, guardaboschi! che hai venduto la tua carne e la carne del prossimo per due tarì al giorno! -
E il sangue che fumava ed ubbriacava. Le falci, le mani, i cenci, i sassi, tutto rosso di sangue! - Ai galantuomini! Ai cappelli! Ammazza! ammazza! Addosso ai cappelli! -
Don Antonio sgattaiolava a casa per le scorciatoie. Il primo colpo lo fece cascare colla faccia insanguinata contro il marciapiede. - Perché? perché mi ammazzate? - Anche tu! al diavolo! - Un monello sciancato raccattò il cappello bisunto e ci sputò dentro. - Abbasso i cappelli! Viva la libertà! - Te'! tu pure! - Al reverendo che predicava l'inferno per chi rubava il pane. Egli tornava dal dir messa, coll'ostia consacrata nel pancione. - Non mi ammazzate, ché sono in peccato mortale! - La gnà Lucia, il peccato mortale; la gnà Lucia che il padre gli aveva venduta a 14 anni, l'inverno della fame, e rimpieva la Ruota e le strade di monelli affamati. Se quella carne di cane fosse valsa a qualche cosa, ora avrebbero potuto satollarsi, mentre la sbrandellavano sugli usci delle case e sui ciottoli della strada a colpi di scure. Anche il lupo allorché capita affamato in una mandra, non pensa a riempirsi il ventre, e sgozza dalla rabbia. - Il figliuolo della Signora, che era accorso per vedere cosa fosse - lo speziale, nel mentre chiudeva in fretta e in furia - don Paolo, il quale tornava dalla vigna a cavallo del somarello, colle bisacce magre in groppa. Pure teneva in capo un berrettino vecchio che la sua ragazza gli aveva ricamato tempo fa, quando il male non aveva ancora colpito la vigna. Sua moglie lo vide cadere dinanzi al portone, mentre aspettava coi cinque figliuoli la scarsa minestra che era nelle bisacce del marito. - Paolo! Paolo! - Il primo lo colse nella spalla con un colpo di scure. Un altro gli fu addosso colla falce, e lo sventrò mentre si attaccava col braccio sanguinante al martello.
Ma il peggio avvenne appena cadde il figliolo del notaio, un ragazzo di undici anni, biondo come l'oro, non si sa come, travolto nella folla. Suo padre si era rialzato due o tre volte prima di strascinarsi a finire nel mondezzaio, gridandogli: - Neddu! Neddu! - Neddu fuggiva, dal terrore, cogli occhi e la bocca spalancati senza poter gridare. Lo rovesciarono; si rizzò anch'esso su di un ginocchio come suo padre; il torrente gli passò di sopra; uno gli aveva messo lo scarpone sulla guancia e glie l'aveva sfracellata; nonostante il ragazzo chiedeva ancora grazia colle mani. - Non voleva morire, no, come aveva visto ammazzare suo padre; - strappava il cuore! - Il taglialegna, dalla pietà, gli menò un gran colpo di scure colle due mani, quasi avesse dovuto abbattere un rovere di cinquant'anni - e tremava come una foglia. - Un altro gridò: - Bah! egli sarebbe stato notaio, anche lui! -
G. Verga

14 maggio 2013

Vecchia piccola borghesia....

Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia.

Sei contenta se un ladro muore o se si arresta una puttana
se la parrocchia del Sacro Cuore acquista una nuova campana.
Sei soddisfatta dei danni altrui ti tieni stretta i denari tuoi
assillata dal gran tormento che un giorno se li riprenda il vento.
E la domenica vestita a festa con i capi famiglia in testa
ti raduni nelle tue Chiese in ogni città, in ogni paese.
Presti ascolto all'omelia rinunciando all'osteria
così grigia così per bene, ti porti a spasso le tue catene.

Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
io non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia.

Godi quando gli anormali son trattati da criminali
chiuderesti in un manicomio tutti gli zingari e gli intellettuali.
Ami ordine e disciplina, adori la tua Polizia
tranne quando deve indagare su di un bilancio fallimentare.
Sai rubare con discrezione meschinità e moderazione
alterando bilanci e conti fatture e bolle di commissione.
Sai mentire con cortesia con cinismo e vigliaccheria
hai fatto dell'ipocrisia la tua formula di poesia.

Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
io non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia.

Non sopporti chi fa l'amore più di una volta alla settimana
chi lo fa per più di due ore o chi lo fa in maniera strana.
Di disgrazie puoi averne tante, per esempio una figlia artista
oppure un figlio non commerciante, o peggio ancora uno comunista ... ex
Sempre pronta a spettegolare in nome del civile rispetto
sempre fissa lì a scrutare un orizzonte che si ferma al tetto.
Sempre pronta a pestar le mani a chi arranca dentro a una fossa
e sempre pronta a leccar le ossa al più ricco ed ai suoi cani.

Vecchia piccola borghesia, vecchia gente di casa mia
per piccina che tu sia il vento un giorno, forse, ti spazzerà via.

C. Lolli

13 maggio 2013

Nel paese di mia madre


Nel paese di mia madre
Nel paese di mia madre v'è un campo quadrato, cinto di gelsi.
Di là da quel campo altri campi quadrati, cinti di gelsi.
Roggie scorrenti vi sono, fra alti argini, dritte, e non si sa dove vanno a finire.
La terra s'allarga a misura del cielo, e non si sa dove vada a finire.

Nel paese di mia madre v'han ponti di nebbia, che il vento solleva da placidi fiumi:
varca il sogno quei ponti di nebbia, mentre le rive si stellan di lumi.
Pioppi e betulle di tremula fronda accompagnan de l'acque il fluire:
quando nè rami s'impigliano gli astri, in quella pace vorrei morire.

Nel paese di mia madre un basso tugurio sonnecchia sul limite della risaia,
e ronzano mosche lucenti, ghiotte, intorno a un ammasso di concio.
Possanza di morte, possanza di vita, nell'odore del concio: ne gode
la terra dall'humus profondo, sotto la vampa d'agosto che immobile sta.

Nel paese di mia madre, quando il tramonto s'insaguina obliquio sui prati,
vien da presso, vien da lontano una canzone di lunga via:
la disser gli alari alle cune, gli aratri alle marre, le biche all'aie fiorite di lucciole,
vecchia canzone di gente lombarda: "La Violetta la vaaa la vaaaa... "

Ada Negri


11 maggio 2013

Domani 12 maggio - festa della mamma..........







   Supplica di Pier Paolo Pasolini
È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un ‘infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senz’anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo; ed è la confusione
d’una vita rinata fuori della ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…

E non possiamo accontentarci di niente di meno....



  
“Non ho mai trovato il coraggio di chiedertelo, ma tu…..” e scosse la testa, con gli occhi chiusi, la bocca contratta in una smorfia scorata. “Come hai potuto? Cos’avevi tu, in comune con quella gente?”
In quell’istante mi resi conto che, per incredibile che fosse, né mia madre, né i miei fratelli né la direttrice del carcere, né le guardie, né la superiora, né le suore, compresa suor Anunciacion, si erano mai interessati abbastanza a me da farmi quella domanda. Era come se tutti loro fossero convinti che io non potessi avere motivo per voler invertire la marcia cambiare pelle, passare al  nemico, fino a quel punto mi odiavano e mi temevano, o di così poco avevano bisogno per condannarmi. Non avevo una risposta pronta, ma chiusi per un attimo gli occhi, ricordai quella sera di settembre del 1936, le parole di Pedro Palacios, la cucina della mia casa di Montesquinza e allora spegnere la radio, alzarmi, raggiungere mia cognata, abbracciarla forte, mi risultò assai facile. Tutto Adela, avevo in comune tutto! Mi staccai da lei per guardarla e le presi la testa tra le mani perché smettesse di scuoterla, di muoverla a desta e a sinistra. “Parlavamo di libertà, di umanità, del futuro, erano così giovani, così coraggiosi….Non avevano niente ed erano disposti a dare tutto, a morire anche per me….non poteva non riguardarmi”. Quella notta, Adela e io restammo sveglie, a parlare per ore in biblioteca. Le raccontai la mia vita e, benché fosse un’anima semplice, lei capì tanto bene che non si azzardò mai più a chiedere perché, in quella sera di guerra di settembre, fossi uscita dalla penombra del corridoio per entrare nella luce della cucina.
“Salve” In quell’istante era bastato l’istinto a guidare i miei passi. “Vi spiace se mi siedo qui ad ascoltare?” Nessuno, neppure Virtudes, rispose subito. Guardandomi attorno, per un attimo, mi sentì un’intrusa, ma il sorriso raggiante di Pedro s’impose in tempo su undici facce indecisi, undici bocche aperte congelate dalle stupore.
“Certo che no” Mentre si alzava per cedermi la sedia, mi scrutò dalla testa ai piedi e il suo sorriso si allargò “Benvenuta”. Poi si appoggiò alla parete e continuò a parlare, a spiegare che in una guerra antifascista si combatte tanto al fronte quanto nella retroguardia, che sono necessari tutti, i soldati in trincea, gli operai in fabbrica e i militanti per le strade, ad alimentare il fervore della gente, la fede del popolo nello sforzo della guerra e il sacrificio che conduce alla vittoria e, mentre lo ascoltavo, capii finalmente perché il mio stomaco era vuoto e che davanti a me non si aprivano più due strade, perché me ne restava una sola, darmi e dare, con me, tutto quello che avevo, abbandonarmi fino in fondo, rischiare molto più di un’opinione, più di una simpatia o di un gesto isolato, quel mare di precauzioni, quello starci e non starci, essere senza essere, pensare senza sentire, in cui avevo navigato per tutta l’estate. Sembrava una decisione grave, complessa,e invece fu facilissima, perchè in realtà l’avevo già presa da tempo, avevo solo bisogno di capirlo. Avevo solo bisogno di sentire una voce che sbriciolava come mollica di pane quella che sino ad allora era stata la realtà, perché il guscio del mio passato, incapace di conservare la sua farsa di merletti bianchi davanti alla potenza travolgente di una vita nuova, saltasse in aria al contatto con le parole che pronunciava.
“So che vi sto chiedendo molto, ma vi chiederò anche di più” e Pedro parlava per i suoi compagni, ma guardava me. “Vi chiederò tutto. Bisogna dare tutto, senza cedere allo sconforto, al dolore alla stanchezza, per riuscire ad avere tutto. E non possiamo accontentarci di niente di meno”……………

Almudena Grandes

09 maggio 2013

Avevo 13 anni nel 1978



 
Nel 1978 avevo 13 anni ma ricordo benissimo quel periodo, è difficile spiegarlo a chi non lo ha vissuto,  i famosi anni di piombo, un periodo di guerra, di follia, di una generazione che voleva cambiare il mondo e chiunque la pensasse diversamente era considerato un nemico da abbattere. Slogan feroci ed eccidi terribili, cortei e fumogeni. Anni dominati dall’ansia anche per chi come me era solo una ragazzina. Avevo paura delle bombe, dei cestini dei rifiuti, perché lì e ne ero convinta, poteva nascondersi un ordigno che mi avrebbe fatto a pezzi. Una paura che stranamente mi è rimasta, ed ancor oggi cammino lontano dai cestini della spazzatura. Mio padre teneva nel baule della macchina una mazza da baseball di legno, aveva paura anche lui. La morte sempre presente, le immagini in bianco e nero dei telegiornali. Il furore, la rabbia, le P38, le pallottole tirate a caso. Per chi non c’era non dimenticale queste storie e i nomi di quelli uccisi……ci furono dal 1969 al 1989 più di 5000 attentati, con 455 caduti e 4529 feriti.  Anni di lotte di classe iniziate in fabbrica, poi nelle Università, nelle scuole anche le medie e in ogni posto di lavoro. Ricordo la foto di quel ragazzo che piega le ginocchia ed impugna la pistola, per sparare ad altezza uomo, quell’immagine è impressa nei miei occhi e nella mia anima , il suo colpo è deflagrato anche dentro di me....


La Repubblica non si baratta
Editoriale, Corriere della Sera 21 aprile 1978
La repubblica vive ormai con il fiato sospeso le ore che i brigatisti lasciano con il loro ultimatum: e non è soltanto la speranza, ma il desiderio forte di tutti gli italiani che uno dei cittadini migliori, oggi in grave pericolo di morte, torni libero ai suoi affetti e al suo compito di statista. Abbiamo sempre sostenuto che il modo migliore per combattere il disordine e sconfiggere la civile convivenza sia quello di fare ciascuno, con l'impegno più adeguato, il proprio mestiere, il proprio dovere, senza lasciarsi prendere alla gola né dalla paura né da esagitate passioni. Il nostro dovere di giornalisti è quello di informare, con calma, con democratica partecipazione, certamente senza paura ma anche senza presunzione. Con il senso delle proporzioni, che si fa più acuto in un momento tanto grave, è nostro dovere degli uomini dell'informazione lasciare, senza intromissioni retoriche e senza consigli da falchi o da colombe, ai politici, ai rappresentanti liberamente eletti dal popolo, il giudizio su una scelta difficilissima che deve conciliare almeno quattro inderogabili esigenze: 1) cercare con tutti i mezzi che uno stato di diritto consente, di salvare la vita carissima di Aldo Moro; 2) rispettare la legge della repubblica, che non può essere barattata; 3) avere presenti i sentimenti di un'opinione pubblica da una parte tesa con tutto il cuore alla liberazione di Moro, dall'altra frastornata dalle prove di incredibile ferocia che ancora ieri i brigatisti hanno spietatamente fornito e dalle prove di inadeguatezza che gli apparati dello Stato danno di fronte al compito di catturare i colpevoli; 4) valutare eventuali strumenti tecnici per schiudere le porte di questa assurda "prigione del popolo", senza elevare alla impossibile dignità di contro Stato i carcerieri del terrore. Con la convinzione, comunque, che non c'è baratto possibile, che violando la legge dello Stato di diritto non si deve liberare neppure un ladruncolo, e quindi non certo gli assassini che hanno ucciso ancora ieri a Milano un difensore dello Stato. L'ultimo volantino delle Brigate rosse contiene frasi quanto mai insultanti e minacciose. Ma anche espressioni così truculente e aggressive che servono soltanto da copertura a una proposta concreta. Infatti i brigatisti affermano: "Il rilascio del prigioniero Aldo Moro può essere preso in considerazione solo in relazione alla liberazione di prigionieri comunisti". Per la prima volta le Brigate rosse avanzano direttamente quelle proposte di scambio che fino a ieri erano contenute soltanto nelle lettere fatte scrivere ad Aldo Moro. Fino a ieri i brigatisti si erano dichiarati del tutto estranei alle "iniziative personali" del loro prigioniero. La novità è importante, ma non va sopravvalutata. Il giudizio di costituzionalisti e di politici è concorde nell'osservazione che inviando il loro ultimatum alla Democrazia Cristiana le Brigate Rosse hanno sbagliato indirizzo. La Dc, infatti, è soltanto un partito politico, e come tale non ha alcuna possibilità di scarcerare i detenuti. L'eventuale liberazione di qualche brigatista spetterebbe soltanto alla magistratura. E neanche i giudici, oggi, sarebbero in grado di porre in libertà provvisoria Curcio e i suoi compagni, anche se fossero intenzionati a farlo. La legge non glielo consente. Su due punti gli osservatori politici trovano difficile vedere come sia possibile discutere: sono da escludere sia il baratto dei prigionieri sia l'organizzazione di incontri confidenziali e riservati tra brigatisti e rappresentanti ufficiali dello Stato italiano. Però nulla vieta verificare se le proposte avanzate dalle Brigate Rosse sono veramente la loro ultima parola, e di esplorare se non esista qualche possibilità concreta di restituire Aldo Moro alla sua famiglia. Un tentativo e un sondaggio del genere possono essere forse effettuati da Amnesty International. Questa organizzazione infatti gode del massimo credito e prestigio nel governo italiano e ha sempre tutelato i diritti civili dei detenuti politici. Tutti sono d'accordo che ogni possibilità di salvare una vita umana va dunque esplorata fino in fondo. Non si può cedere al ricatto, questo era e resta ovvio per tutti. Ma c'è anche chi sostiene che non è giusto, quando per la prima volta squilla il telefono, abbassare di colpo il ricevitore. Anche se dall'altra parte del telefono c'è un criminale in attesa. Nel loro comunicato i brigatisti scrivono che il problema al quale si deve rispondere "è politico e non di umanità". E' vero il contrario: il problema da affrontare può essere umanitario, con loro non potrà mai essere politico. Ecco perché lo Stato non ha alcun colloquio da aprire con i terroristi. Potrà farlo, semmai, con senso umanitario, Amnesty.

07 maggio 2013

La vedova....



  Funerali di Andreotti 07/05/2013


Quando morì don Josè Montiel, tutti si sentirono vendicati, meno la sua vedova; ma ci vollero parecchie ore prima che tutti si convincessero che era morto davvero. Molti continuavano a metterlo in dubbio dopo aver visto il cadavere nella camera ardente, insaccato con cuscini e lenzuola di lino in una cassa gialla e rigonfia come un melone. Era perfettamente raso, vestito di bianco e con stivaletti di vernice e aveva un aspetto così piacevole che non era mai sembrato più vivo di allora. Era lo stesso don Chepe Montiel delle domeniche, della messa delle otto, solo che invece della frusta ora aveva in mano un crocifisso. Fu necessario che avvitassero il cofano del feretro e che lo murassero nel fastoso mausoleo della famiglia, perché l’intero paese si convincesse che non stava fingendo di essere morto.
Dopo il funerale, l’unica cosa che a tutti sembrò incredibile, meno che alla sua vedova, fu che Josè Montiel fosse morto di morte naturale. Mentre tutti si aspettavano che lo impallinassero alla schiena in un imboscata, la sua vedova era sicura di vederlo morire vecchio nel suo letto, confessato e senza agonia, come un santo moderno. Si sbagliò soltanto di qualche particolare. Josè Montiel morì nella sua amaca il 2 agosto 1951 alle due del pomeriggio a causa delle infuriate che il medico gli aveva proibito. Ma sua moglie si aspettava anche che tutto il paese partecipasse ai funerali e che la casa fosse piccola per poter contenere tanti fiori. E invece, vennero solo i suoi compagni di partito e le congregazioni religiose, e le uniche corone furono quelle della amministrazione municipale. Suo figlio – dal suo ufficio consolare in Germania – e le sue due figlie, da Parigi, mandarono telegrammi di tre pagine. Si vedeva che li avevano scritti in piedi, con l’inchiostro ordinario dell’ufficio postale, e che avevano stracciato parecchi formulari prima di mettere insieme venti dollari di parole. Quella sera, a sessantadue anni, mentre piangeva sul cuscino dove aveva appoggiato la testa l’uomo che l’aveva resa felice, la vedova Montiel assaporò per la prima volta il gusto del risentimento. “Mi rinchiuderò per sempre”, pensava. “E’ come se mi avessero messo nella stessa cassa con Josè Montiel. Non voglio più saper nulla di questo mondo”…..

Gabriel Garcia Marquez

05 maggio 2013

La donna abitata...



 
Ritornò al crepuscolo. Aprì porte e finestre. Sembrava felice. Felice quanto me che avevo trascorso la serata ad esplorare il mondo, a respirare attraverso tutte le foglie del mio nuovo corpo. Chi me l’avrebbe detto che sarebbe successo, Quando gli anziani parlavano di paradisi tropicali per coloro che morivano nell’acqua, sotto il segno di Quiote-Tlaloc, io immaginavo distese trasparenti, fatte della sostanza dei sogni. La realtà è spesso più fantastica dell’immaginazione. Non vago per giardini. Sono io stessa parte di un giardino. E quest’albero vive di nuovo della mia vita. Era tutto malandato, ma io ho fatto scorrere nuova linfa in tutti i suoi rami e, quando verrà il suo tempo, darà frutti e allora il ciclo ricomincerà ancora.
Mi chiedo quanto sia cambiato il mondo. E’ cambiato molto, senza dubbio. Questa donna è sola. Vive da sola. Non ha famiglia, e non ha un uomo. SI comporta come un alto dignitario senz’altro padrone che se stesso. E’ venuta a sdraiarsi sull’amaca, vicino ai miei rami. Distende il suo corpo e pensa. Passa il tempo a pensare. A stare così, senza far niente, a pensare….

Gioconda Belli

02 maggio 2013

Mediocrità....



     
 


-          Lei ha ucciso suo marito per far passare il singhiozzo al suo bambino?
Lei fece una risata fuori luogo:
-          Ma no, insomma è ridicolo!
-          Perché ha ucciso suo marito?
-          Per proteggere il bambino – affermò lei, questa volta con una serietà tragica.
-          Ah. Suo marito l’aveva minacciato?
-          Doveva dirlo subito.
-         
-          E di che cosa la minacciava?
-          Voleva chiamarlo Tanguy se è maschio e Joelle se femmina.
-          E poi?
-          Poi niente.
-          Lei ha ucciso suo marito perché non le piacevano i nomi che aveva scelto?
Lei aggrottò le sopracciglia. Si rendeva perfettamente conto che mancava qualcosa alla sua argomentazione, eppure era sicura di avere ragione. Capiva benissimo i motivi del suo gesto e le sembrava quindi ancor più frustrante non riuscire a spiegarli.
Allora decise di tacere.
-          E’ sicura di non volere un avvocato?
Ne era sicura. Come poteva spiegare questa storia ad un avvocato? L’avrebbe presa per pazza, come tutti gli altri. Più parlava, più la prendevano per pazza. Quindi, si sarebbe cucita la bocca.

La misero in prigione. Ogni giorno un’infermiera passava a darle un’occhiata.
Quando le annunciavano una visita di sua madre o di sua sorella, rifiutava di vederle.
Rispondeva solo alle domande relative alla gravidanza. Altrimenti taceva.
Parlava fra sé e sé:”Ho fatto bene a uccidere Fabien. Non era cattivo, era mediocre. La sua pistola era l’unica cosa di lui che non lo fosse, ma certo ne avrebbe fatto un uso mediocre, contro i ladruncoli del vicinato. Oppure avrebbe lasciato che il bambino ci giocasse. Ho fatto bene a rivolgergliela contro. Voler chiamare un figlio Tanguy o Joelle vuol dire offrigli un mondo mediocre, un orizzonte già ristretto. Io invece voglio che il mio bambino abbia a disposizione l’infinito. Voglio che mio figlio non senta alcun limite, voglio che il suo  nome gli suggerisca un destino fuori dal comune.”

Amelie Nothomb (Dizionario dei nomi propri)

01 maggio 2013

1 maggio 2013


 POPOLO DI ONESTI

L'Italia è una repubblica affondata dalla politica
dalle lotte di potere e le corse alle poltrone
mascherano inciuci o gli scambi di favore
si affannano ci mettono uno contro l'altro
per spostare l'attenzione dalla cosa più evidente
gli amici dei potenti sono sempre più abbienti e noi

Siamo fermi ad aspettare sempre pronti ad accettare
ogni cambio di direzione accecati dall'illusione
nella scatola fatata troverai la soluzione
la risposta al nostro male o un regalo per Natale

E noi a rosicchiare i resti a guardare la tv
noi un popolo di onesti che cammina a testa in giu
noi gridiamo a bassa voce giù la testa evviva il Re

Ci bombardano la testa con milioni di colori
e ci dicono che presto saremo tutti uguali
preparano una terra più sicura senza guerra
missioni umanitarie con fucili e armi in spalla
chiuderanno le frontiere, ci saranno più bandiere
no all'immigrazione!!
no al'integrazione!!! e noi!!!
il sapere e la cultura son passati ormai di moda
con l'amico al posto giusto riuscirai a fare il botto
non temere non rischiare non è utile saper fare
l'importante è apparire, nello schermo devi stare

E noi a rosicchiare i resti a guardare la tv
noi un popolo di onesti che cammina a testa in giu
noi gridiamo a bassa voce
giù la testa evviva il Re

Come dire, come fare, è possibile capire
nella testa abbiamo viva la memoria
non riesco a stare bene
e la cosa più importante
che a pagare il conto siamo noi!!!

Non cercare di capire non sperare di sapere
non illuderti di avere non guardare non vedere
non cambiare mai canale non sta bene "starai male!"
non alzare mai la testa non sfidare la tempesta
servi del potere siamo tutti in un braciere
ci cucinano a dovere e ci mangiano a colazione
i consigli per gli acquisti i concorsi per artisti
i salotti le tribune le partite di pallone

E noi a rosicchiare i resti a guardare la tv
siamo noi un popolo di onesti che cammina a testa in giu
sempre noi a rosicchiare i resti a guardare la tv
siamo noi il popolo di onesti che cammina a testa in giu
noi gridiamo ad alta voce
noi strilliamo ad alta voce
su la testa e abbasso il Re.

Almamediterranea